Intolleranza al lattosio, serve chiarezza

L’intolleranza al lattosio è forse la più frequente manifestazione sintomatica da carenza di un normale enzima intestinale, la lattasi, cui spetta il compito di scindere il lattosio nei suoi due zuccheri, il glucosio e il galattosio, e renderli assorbibili e utilizzabili dall’organismo.

Le forme più comuni di intolleranza sono quella tardiva e quella secondaria.
L’intolleranza tardiva, la più comune, è legata all’avanzare dell’età; la secondaria può invece manifestarsi dopo diverse malattie intestinali (come la gastroenterite) e si accompagna al malassorbimento anche di alcuni zuccheri, come il saccarosio.

Le Linee guida per una sana alimentazione italiana consigliano il consumo di 3 porzioni di latte o yogurt al giorno. Il latte ed i suoi derivati rappresentano, infatti, uno dei cinque gruppi di alimenti la cui presenza quotidiana sulla tavola facilita la realizzazione di una dieta completa ed adeguata.

Da tali premesse si capisce come l’esclusione di alimenti importanti come questi possa avere seri svantaggi dal punto di vista nutrizionale e debba quindi essere valutata con attenzione, anche in presenza di una possibile intolleranza al lattosio.

A conferma di ciò esistono numerose evidenze scientifiche.
È stato ad esempio riportato che i bambini ai quali viene prescritta una dieta a basso contenuto di lattosio introducono quantitativi di calcio inferiori rispetto a quelli raccomandati per la crescita e la mineralizzazione ossea e che, nei giovani adulti, l’intolleranza al lattosio può rappresentare un ostacolo al raggiungimento del picco di massa ossea, potendo quindi predisporre all’osteoporosi. Anche studi condotti su adulti e anziani evidenziano che coloro che si considerano intolleranti al latte hanno maggiori probabilità di evitare questo alimento e tendono a non fare alcuno sforzo per consumare sufficienti quantità di calcio.

Il problema di una eventuale intolleranza al lattosio va quindi affrontato in ambito medico e nel modo giusto, evitando restrizioni che non siano davvero necessarie. Purtroppo sono numerose quelle “esclusioni” che vengono suggerite sulla base di test sempre più di moda, molto utilizzati anche nel campo del sovrappeso, che pretendono di fare diagnosi di “intolleranze alimentari”. L’efficacia di questi strumenti resta puramente fantasiosa.

Per riconoscere l’intolleranza al lattosio, infatti, i test devono basarsi su una solida evidenza scientifica. Uno dei test più attendibili è denominato “breath test”.

Le persone che, per un deficit di “lattasi” non sono in grado, o lo sono solo parzialmente, di digerire il lattosio assunto con gli alimenti, non devono certo ridurre drasticamente i prodotti lattiero caseari senza aver prima verificato con il proprio medico che sia davvero necessario farlo.
La maggioranza dei soggetti intolleranti è infatti in grado di digerire piccole quantità di lattosio (5-10 g per singola dose), soprattutto se associate a cibi che rallentano il transito intestinale.

Pertanto nei casi di intolleranza risulta utilissima l’assunzione di latte a ridotto contenuto di lattosio, in cui la maggior parte del lattosio è stato "predigerito".
Anche lo yogurt risulta di solito ben tollerato .

È stato anche osservato che l’assunzione di microrganismi probiotici può alleviare i disturbi associati alla maldigestione del lattosio.

È molto importante che, di fronte a bambini o adolescenti che lamentano disturbi dopo il consumo di latte, venga interessato il pediatra per valutare se sia il caso di effettuare i test diagnostici che possono aiutare ad identificare un effettivo deficit di lattasi. Qualora questo venisse confermato, sarà il pediatra ad indicare le eventuali modifiche da apportare alla dieta, facendo attenzione che l’alimentazione risulti adeguata e non comporti carenze nutrizionali che possono rappresentare una condizione tanto più rischiosa quanto più giovane è il soggetto intollerante.